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Operazione Cafè de Paris

Contenuto a cura
dell'Avv. Fabrizio Gallo
Data creazione: 14 Nov 2018
Data ultima modifica: 16 Oct 2020

All’alba del mese luglio di del 2009 una maxi operazione con più di 500 uomini delle forze speciali si abbatte sulla Capitale d’Italia.

Un’operazione contro la presunta cosca di ‘Ndrangheta attiva nella capitale, porta al sequestro di numerosi beni per un valore di circa 250 milioni di Euro.

La notizia fa il giro del mondo in pochi minuti anche perché ad essere sequestrato è uno dei pezzi più pregiati della “Dolce Vita” il notissimo Cafè de Paris in via Veneto.

Il presunto Boss viene indicato nel nome di Vincenzo Alvaro che secondo gli inquirenti, aveva investito una quantità enorme di denaro proveniente dal traffico illecito ed acquistato beni di lusso nella capitale allo scopo di riciclare il denaro proveniente da sequestri di persona e traffico di droga.

Il binomio Alvaro e Cafè de Paris fa divenire il processo fortemente mediatico.

Proprietario del noto bar sarebbe un barbiere di un piccolo paesino sull’Aspromonte che si era trasferito a Roma ma di fatto secondo la Procura sarebbe il prestanome di Vincenzo Alvaro.

Viene richiesto l’arresto di più di 30 persone e subito dopo Vincenzo Alvaro il presunto Boss nominava propri difensori di fiducia l’Avv. Domenico Cartolano e l’Avv. Fabrizio Gallo del foro di Roma per tutti i familiari dell'Alvaro.

Dopo anni di lunghi processi, Alvaro Vincenzo viene completamente scagionato dall’operazione relativa al Cafè de Paris e la Suprema Corte di Cassazione nel 2017, annulla il provvedimento relativo ai sequestri disposti dal Tribunale misure di Prevenzione sostenendo che il Tribunale di Reggio Calabria non aveva individuato alcun elemento da cui trarre che Vincenzo Alvaro (tuttora incensurato) fosse pericoloso e quindi destinatario di un provvedimento  cautelare così imponente.

La Cassazione nell’annullare del tutto il provvedimento da cui scaturiva tutta l’operazione inviava il procedimento alla Corte di Appello di Reggio Calabria con specifiche indicazioni. Il 10 maggio 2019, la Corte di Appello di Reggio Calabria - sezione misure di prevenzione rigettava la proposta del Procuratore della Repubblica della misura di prevenzione patrimoniale della confisca di n. 102 beni e ordinava la restituzione di tutti i beni agli aventi diritto, accogliendo le tesi difensive degli avvocati.

Per quanto riguarda il merito, il 16 ottobre 2020, la Corte di appello di Roma pronunciava sentenza di assoluzione per tutti gli imputati per intervenuta prescrizione ritenendo non applicabile all'operazione la sussistenza dell'associazione di stampo mafioso prevista e puntia dall'art. 461 bis c.p., confermando nel resto le statuizioni previste nella sentenza di primo grado.


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